Dietro l’etichetta: il costo umano e ambientale del fast fashion

Pubblicato il 13 ottobre 2025 alle ore 09:00

di Simona Tricoli

 

La nascita del prêt-à-porter

Nel 1800 quando c’era il bisogno di acquistare un capo di vestiario, ci si rivolgeva a un sarto che prendeva le misure della persona che doveva fare l’acquisto e ne nasceva naturalmente un abito di sartoria fatto su misura.

A causa della guerra negli Stati Uniti nel 1812 furono confezionate delle uniformi, non fatte su misura ma pronte da indossare, adattabili in base a una taglia standard, è qui che nasce il prêt-à-porter che significa letteralmente pronto da portare, anche se il termine coniato in America per definire il fenomeno fu ready to wear.

Il fenomeno in Europa invece si verificò già nel 1885, Dewachter Frères vendeva infatti abiti prêt-à-porter per uomini e bambini, ma nonostante questo primato si cominciò a utilizzare questo termine solo a partire dal 1957, in seguito all’apertura del primo omonimo salone a Parigi chiamato appunto Salon du Prêt-à-porter.

 

Il fenomeno del fast fashion

Sembra a tutti gli effetti un articolo sulla storia della moda come la conosciamo oggi, ma in realtà partiamo dalle origini per capire a fondo il fenomeno del fast fashion (moda veloce), figlio di quel prêt-à-porter parigino che aveva lo scopo di realizzare abiti pronti da indossare e permettere a una maggiore fetta della popolazione, di acquistare abiti più velocemente e a un prezzo più basso.

 

Purtroppo questo oggi è sfociato in un consumo compulsivo, una grande perdita di qualità del prodotto e non solo. Gli abiti realizzati in taglie standard non sempre vanno bene per tutti, perché una taglia 44 non ha le identiche caratteristiche di un’altra taglia 44, e se il capo è stato acquistato online ciò comporta enormi sprechi ed emissioni inutili di Co2, in quanto, spesso se un capo non va bene si effettua il reso che comporta un ulteriore trasporto che si poteva evitare, oppure se il costo è stato esiguo lo si tiene lo stesso senza mai utilizzarlo.

Secondo i dati Istat, gli acquisti online tra il 2023 e il 2024 sono aumentati del 2,2%. Il 23,2% ha riguardato acquisti per capi di abbigliamento il 13,7% acquisti per la casa. Questi dati ci dicono che una persona su due acquista sul web, un dato davvero importante e che fa riflettere. Gli acquisti online impattano molto a livello ambientale. Come già detto, a causa dei trasporti, del packaging che genera tantissimi imballaggi anche per ordini di poco conto, inoltre anche la digitalizzazione causa un dispendio notevole di energia o di acqua.

 

Il fast fashion è un attore di primo piano nella nostra storia, mentre se parliamo di alta moda le collezioni Autunno/Inverno e Primavera/Estate escono due volte l’anno, nel fast fashion possono rinnovarsi addirittura ogni settimana e non tutti i capi vengono venduti, tantissimi finiscono in discarica per far spazio alle nuove collezioni. L’aggettivo vintage che in passato era utilizzato per indicare un capo vecchio di almeno vent’anni oggi viene impropriamente usato anche per capi della scorsa stagione. La velocità con la quale cambia la moda, vengono prodotti nuovi e numerosi capi e vengono generati bisogni è impressionante, continuamente vengono realizzati capi dei quali non abbiamo bisogno ma ci viene fatto credere il contrario grazie a campagne di marketing studiate ad hoc. Convinti che il maglione della scorsa stagione sia ormai datato, ci sentiamo obbligati ad acquistare quello all’ultima moda.

 

Oggi molti scelgono per motivi green il second hand (abiti di seconda mano), infatti numerose sono le piattaforme oggi, che permettono a chiunque, di vendere abbigliamento o oggetti che non usano più, dandogli una seconda vita e perché no, permettendogli anche di avere un guadagno. Purtroppo anche dietro questa “nuova moda” si nasconde lo spettro del consumismo, i prezzi di molti capi sono talmente bassi che lo shopping compulsivo interessa anche i siti che promuovono il second hand, questo fenomeno oggi ha il nome di Fast Vintage.

 

Nessun rispetto dei diritti dei lavoratori e dell’ambiente

La produzione tessile implica il consumo di molta acqua, si stima che per produrre una sola maglietta di cotone occorrano 2.700 litri di acqua dolce, un quantitativo che una persona dovrebbe bere in due anni e mezzo, questo paragone fa capire la portata del consumo. Si stima inoltre, che la produzione tessile inquini a livello globale di circa il 20% e gli abiti che vengono riciclati per crearne di nuovi sono solo l’1%.  I dati dell’Agenzia europea dell’ambiente ci dicono che gli acquisti di prodotti tessili nel 2020 nell’UE hanno generato 121 milioni di tonnellate di emissioni di gas serra. Dati davvero allarmanti che fanno capire come ogni acquisto deve essere fatto in maniera consapevole. Circa due anni fa sono andati virali un paio di orecchini di una nota azienda che opera nel settore del lusso, questi avevano un prezzo che si aggirava tra le 650 € arrivando a costare oltre i 1000 € in base al modello e alla grandezza, le aziende di fast fashion non hanno tardato a realizzare il dupe di questo prodotto, realizzando un prodotto identico che poteva costare anche 3€ a fronte dei 650€ del Brand che li ha ideati. Le imitazioni a basso costo sono un’altra piaga del fast fashion, perché permettono a chiunque di sfoggiare un capo o un accessorio ritenuto di lusso ma pagando un prezzo nettamente minore, ciò porta sempre a numerosi acquisti inutili effettuati solo per sfoggiare un capo semplicemente perché considerato all’ultima moda o perché è andato virale, con l’illusione di sentirsi un po’ più Cool perché stiamo indossando un accessorio identico a uno di lusso.

 

E chi produce questi capi e questi accessori? Facendo un giro sui vari siti sovrani del fast fashion, possiamo vedere come sia possibile acquistare capi al costo di pochi euro. Ogni capo ha dei costi da sostenere, di produzione, di imballaggio, di spedizione, acquisto di materie prime, costi legati alla logistica e al marketing. Come è possibile pagare così poco? Chi paga in realtà? Pagano i lavoratori che vengono sfruttati per fornire manodopera a basso costo creando un problema sociale, paga l’ambiente a causa di questa produzione sfrenata e questo consumismo esagerato.

 

Il fast fashion però non lo troviamo solo online ma anche in grandi Franchising alcuni dei quali fanno anche Greenwashing una strategia di marketing che inganna il consumatore facendogli credere di acquistare da un’azienda che rispetta l’ambiente e attua politiche sostenibili. In ogni caso sia acquistare online che offline prodotti a basso costo contribuisce a perpetrare il fenomeno del fast fashion e ha creato un “nuovo mostro”, l’ultra fast fashion. A causa dei dazi da parte dell’America che hanno colpito fortemente il mercato cinese, la produzione in Cina è aumentata di molto, creando una sovrapproduzione che ha invaso i mercati europei causando anche un effetto dumping grazie alla produzione a basso costo.

 

Come combattere questi fenomeni?

Importante è, se si fanno acquisti, farli consapevolmente. È sempre meglio preferire il second hand che non sfoci ovviamente anche questo in uno shopping compulsivo, oppure dare una seconda vita anche ai nostri capi che non necessariamente devono essere sostituiti ad ogni stagione solo per seguire le varie mode. Se acquistiamo in uno store fisico, se possibile, meglio preferire capi con fibre naturali e scegliere aziende davvero sostenibili, mentre se acquistiamo online cerchiamo di farlo solo se sicuri di non dover fare un reso, dover rendere un prodotto perché danneggiato o perché ci si è effettivamente sbagliati ad ordinare la taglia giusta, è diverso, dall’ordinare molti vestiti solo per provarli e infine scegliere quello che preferiamo con l’intenzione di fare il reso degli altri. A volte poi è sempre meglio spendere un po' di più per un capo che durerà anni e non di meno per più capi che a livello qualitativo non dureranno una stagione.

 

Spesso sento dire che molti di noi sono costretti ad acquistare capi a costi così bassi a causa del caro vita e degli stipendi fermi da più di 30 anni. In realtà acquistare un prodotto di qualità che possa avere una vita più lunga significa risparmiare, se poi non possiamo acquistare un capo più costoso allora cerchiamo di preferire abiti di seconda mano, se ne trovano molti di qualità e a costi molto bassi, evitiamo di acquistare cose inutili perché spesso è solo uno spreco e ricordiamoci che lo spreco equivale a un costo. Cerchiamo di essere consapevoli del fatto che ogni volta che preferiamo un prodotto fast fashion contribuiamo all’inquinamento del pianeta e favoriamo indirettamente la manodopera a basso costo.

Prima di terminare volevo consigliare la visione di un documentario sul fast fashion presente su Netflix dal titolo “Buy Now” un documentario che ci porta ad avere una certa consapevolezza sul consumismo di cui tutti siamo vittime e fautori e cerchiamo da subito di avere sempre più consapevolezza negli acquisti che facciamo, questa dovrà essere la nostra parola d’ordine prima di mettere mano al portafogli.

Fonte: [https://oneworlditaly.com/blog/pret-a-porter-guida-alla-moda-pronta-da-indossare/]

Fonte: [https://www.istat.it/wp-content/uploads/2025/04/REPORT_CITTADINI-E-ICT_2024.pdf]

Fonte: [https://www.instagram.com/reel/DO0scy6DFza/?utm_source=ig_web_copy_link]

Fonte:[https://www.europarl.europa.eu/topics/it/article/20201208STO93327/l-impatto-della-produzione-e-dei-rifiuti-tessili-sull-ambiente-infografica]

Fonte:[https://www.borsaitaliana.it/borsa/notizie/radiocor/economia/dettaglio/moda-urso-commissione-ue-intervenga-su-invasione-ultra-fast-fashion-da-cina-nRC_10102025_0917_181151684.html]